Ecco come si è formato il termine Karate: In giapponese si scrive con ideogrammi, e il legame tra il carattere scritto e il suono non è così diretto come nelle scritture fonetiche. Spesso esistono diverse pronunce per lo stesso ideogramma e lo stesso suono può corrispondere a più ideogrammi.
Il nome antico di Karate era to-de “la mano (de o te) della Cina (to)”, o più semplicemente te o de.
L’ideogramma to si pronuncia anche kara, e all’inizio del ventesimo secolo ha cominciato ad essere impiegata questa pronuncia: kara-te “la mano (te) della Cina (kara)”. Il termine te o de, letteralmente “mano” ha anche il significato di “arte” o “tecnica”.
L’uso della parola kara permetteva di giocare su un doppio senso, poiché il suono kara in giapponese significa anche “vuoto”, ma viene scritto con un’altro ideogramma (il primo a sinistra nelle figure). Il cambiamento dell’ideogramma corrispondente al suono kara si spiega in due modi complementari : da una parte il termine kara, che significa “vuoto” nell’accezione del buddismo zen, ha in giapponese una profondità maggiore, dall’altra il termine “mano cinese” non andava molto d’accordo col nazionalismo giapponese di inizio secolo.
Questa nuova forma, kara-te “mano vuota”, si è diffusa nel corso degli anni Trenta, nel momento in cui i maestri di Karate, arrivati dalla piccola OKINAWA, cercarono di inserire la loro arte nella più vasta tradizione del budo (letteralmente significa la via delle arti marziali, in questo caso intende l’insieme delle arti marziali dei guerrieri giapponesi).
È verso il 1930 che GICHIN FUNAKOSHI comincerà a trascrivere kara con l’ideogramma che significa “vuoto”. Con il montare del nazionalismo, l’ideogramma “Cina” appare come un elemento di disturbo per l’integrazione del karate nella tradizione del budo giapponese, e anche per la sua diffusione, tanto più considerando che la tradizione del budo è molto vicina al militarismo giapponese, in via di rafforzamento nel corso degli anni Trenta.
Egli spiega questa scelta attraverso due piccole frasi di insegnamento buddhista zen:
Shiki soku ze ku (= kara )
Ku soku ze shiki
Tutti gli aspetti della realtà visibile equivalgono al vuoto (nulla)
Il vuoto (nulla) è l’origine di tutta la realtà.
Ugualmente tutte le discipline del budo giungono alla fine allo stato di un uomo a mani vuote, e lo stato di uomo a mani vuote è il principio di tutto il budo. È per tali motivi che G. Funakoshi aggiunge al termine karate il suffisso do (via). Promuovere “Il Karate-do come stile di vita” diviene la sua missione, non si tratta più di un arte marziale e basta ma di un modo d’essere, un modo di comportarsi: di porsi di fronte agli altri, che diventano non più il nostro nemico da distruggere ma un’amico da amare. Riprendendo una frase di EGAMI (un suo grande allievo):
…In un arte marziale prima, pieni d’odio, si cerca di distruggere l’avversario, poi di ucciderlo con una sola tecnica, poi di sconfiggerlo senza ucciderlo, poi di batterlo senza fargli male ed infine, pieni d’amore, di vincerlo senza combattere…
Questo è il do (via)
Si puó dunque ritenere il do il più importante ideogramma. Per comprenderne ulteriormente il significato, è necessario andare indietro nel tempo.
Dopo l’introduzione dello Zen in Giappone, si osservò che vi erano delle notevoli affinità tra lo stato d’animo che si raggiungeva nella pratica dello Zen e quello che il Samurai doveva possedere in guerra, per affrontare le mille situazioni di pericolo. Si vide, inoltre che tra i tanti avversari da combattere quello più difficile da superare era proprio se stesso.
Lo studio delle varie tecniche fu perciò riesaminato e tramite la pratica si ricercò, e si ricerca tuttora, uno stato spirituale sempre pronto, senza paura, al momento giusto e con la tecnica più appropriata. Le tecniche dei Samurai furono ridefinite Arti Marziali.
“Marziali” perchè si richiedeva e si richiede un comportamento disciplinato e corretto ed “Arti” perchè ciascuno adattava le tecniche apprese alla propria costituzione, carattere e maturità, senza limitazione d’età o di sesso.
Arte marziale, quindi significa: “Conoscersi attraverso la pratica di una tecnica di combattimento”. L’importante non è il raggiungimento di una certa meta, ma il modo e lo spirito coi quali si procede lungo la Via della propria conoscenza.
Nel nostro caso, il significato di Karatedo si puó indicare con la frase: “Il cammino della propria conoscenza attraverso la pratica del Karate”
do si compone dell’ideogramma del piede che simbolizza l’andare, il camminare, il mettersi in marcia, è l’immagine semplificata di una testa con capelli, un capo, un condottiero, il senso è quello di orientarsi verso qualcosa o qualcuno.
L’ideogramma completo si compone di un cammino, una via tracciata dal capo del clan e quindi per estensione il principio a cui occorre attenersi, la regola, la dottrina e per astrazione la VIA.
Il Karate-do secondo il maesto Gichin Funakoshi è la corretta interpretazione del Karate ed il suo giusto impiego; è il cammino per raggiungere il Satori o illuminazione (comprensione del significato oggettivo della vita) attraverso la pratica della difesa a mano nuda.
La via del Karate è un percorso per il perfezionamento e l’automiglioramento della tecnica, poiché in tal modo si migliora anche se stessi. Il Karate-do mira internamente ad allenare la mente e a sviluppare una coscienza chiara cosicché si possa affrontare sinceramente ed autenticamente il mondo.
La mente e la tecnica devono divenire un’unica cosa nel Karate-do, il Do, la via, è molto più della tecnica, piu dell’arte: una via, un lento e misterioso cammino dell’essere verso la propria perfezione, il proprio compimento.
Si deve superare lo sport, il fatto fisico e l’arte altrimenti si resta nel contingente, nell’incompiuto, nel superficiale.
Il Karate praticato solo come sport ha come obiettivo la vittoria nella gara mentre il Karate-do quello di vittoria nella vita.