Le origini

Il Karate è una disciplina antichissima e trae la sua origine da un tipo di lotta praticata nelle isole Ryu Kyu . È appunto da una di queste, Okinawa , che ci giungono 600 anni di storia documentata su questa arte. Del periodo precedente, non esistono testimonianze scritte e, per tale motivo, sono state elaborate teorie, quasi leggende, che collegano le arti marziali alla religione . La tradizione vuole che i monaci buddisti praticassero un tipo di allenamento fisico che consentisse loro di sopportare lunghi periodi di meditazione ed immobilità, e che avesse finalità marziali, visto che spesso erano vittime di ruberie ed aggressioni. Da considerare inoltre che, durante un certo periodo, nell’isola di Okinawa sarebbe stato vietato l’uso delle armi.

Quindi una disciplina tramandata in segreto (da genitore a figlio) e conosciuta da una determinata cerchia di praticanti. A partire dal XIV secolo le notizie circa la pratica e lo sviluppo del karate sono storicamente testimoniate. In quel periodo vi fu un fiorire di rapporti commerciali e diplomatici tra Cina e Okinawa con conseguente interscambio culturale tra i due Paesi. Il Te , lotta a mani nude che veniva praticata nelle isole Ryu Kyu, subì profonde modifiche quando venne a contatto con il kempo cinese. Molti inviati dell’imperatore cinese erano militari di alto rango e studiosi di kempo che con le loro dimostrazioni influenzarono i pari grado dell’isola di Okinawa .

Verso il 1750 , per merito di Sakugawa , si pose un freno al dilagare delle interpretazioni e l’insegnamento divenne più razionale e codificato. È da questo momento che la fusione delle tecniche del Tode con la filosofia del Budo diedero come risultato il Karate tradizionale, il cui scopo è la ricerca di uno stato mentale adatto allo sviluppo delle proprie capacità psicofisiche attraverso un allenamento appropriato.

Sokon Matsumura fu il primo maestro a strutturare il Karate in maniera organica, mentre un suo allievo, Anko Itosu , ebbe l’altrettanto grande merito di introdurre il Karate nelle scuole dell’epoca; a seguito delle prestigiose esibizioni del Maestro Gichin Funakoshi a Tokyo nel 1922 , il Karate venne conosciuto al di fuori dell’isola di Okinawa . Questi sono stati i quattro maestri che hanno determinato nel Karate svolte di fondamentale importanza.

Funakoshi fu anche fondatore dello stile Shotokan , che basa l’efficacia delle proprie tecniche su agili spostamenti e attacchi penetranti. Egli intese ed insegnò il Karate come sistema di disciplina interiore , capace di condizionare tutti gli aspetti della vita dei praticanti, denominato più precisamente Karate-do. Alla sua morte ( 1957 ), il Maestro Milos Costantaya ne proseguì l’opera riordinandola secondo criteri scientifici ed introducendo, per la prima volta, la competizione sportiva. Da allora il Karate si è diffuso in gran parte del mondo, subendo anche cambiamenti discutibili che, secondo alcuni, lo hanno allontanato dallo spirito originale voluto dai suoi fondatori.

Il più grande ringraziamento che il praticante possa elevare è diretto ai maestri che ci insegnano a comprendere quest’arte e ci svelano, passo dopo passo il do , la via è molto più della tecnica, è un lento e misterioso cammino dell’essere verso la propria perfezione, il proprio compimento.

Ogni scuola di Karate tradizionale sintetizza per i propri allievi i principî morali che devono guidare la pratica e che ne costituiscono i fondamenti. Essi sono chiaramente enunciati nel Dojo Kun .

I principali 4 stili sono: Goju-Ryu – Shito-Ryu – Shotokan – Wado-Ryu

Lo stile Goju-Ryu nasce dal naha-te, primo Maestro fu Kanrio Higahonna che visse per moltissimo tempo nel Fukien in Cina; suo successore “ Myagi Chojun ” (1888/1953), anche lui andò in Giappone da Okinawa solo una decina di volte, fu l’unico Maestro di Karate ad essere insignito del grado di “Kyoshi” 2° livello, dal Budotukan (massima associazione di arti marziali del Giappone), gli altri tre stili : Shotokan ( Funakoshi ), Wado-Ryu ( Otzuka ), Shito-ryu ( Mabuni ) ottennero il grado di “Renshi” 3° livello.

La storia di Okinawa

La caduta della dinastia Sho, verso il 1470, creò un periodo di turbolenza politica e caos che finì solamente con l’avvento della nuova dinastia, sempre Sho, nel 1477. Il nuovo monarca, Sho Shin, dovette affrontare i nobili cavalieri della Guerra che erano saldamente protetti nei loro castelli lungo l’isola. Una delle prime norme introdotte dal monarca fu quella di bandire il trasporto d’armi da parte di chiunque, nobile o contadino . La seconda mossa del re fu quella di sequestrare tutte le armi del Paese e custodirle sotto sorveglianza continua nel proprio castello a Shuri. Infine ordinò a tutti i nobili, ora disarmati, di andare a vivere vicino a lui nella capitale del Paese. E’ interessante notare come questa politica di disarmare e poi “spodestare” i nobili ribelli di Okinawa anticipa scelte analoghe fatte successivamente dal Giappone. Infatti stesse norme nacquero negli editti di spada di Toyotomi nel 1586 e negli ordini dello Shogun di Tokugawa dove tutti i Signori della Guerra dovettero raccogliersi attorno a lui nella Capitale nel 1634. E’ un fatto, tuttavia, che lo Shogun non obbligasse, nonostante la natura intricata delle relazioni tra Cina e Giappone, gli abitanti di Okinawa ad interrompere le loro relazioni tributarie con la Cina. Al contrario, lo Shogun forzava gli abitanti di Okinawa a mantenere una facciata di fedeltà assoluta verso i cinesi. Qualora fossero sopraggiunti diplomatici dalla terraferma, i sovrani giapponesi avrebbero nascosto se stessi e tutto ciò che potesse tradire la loro presenza sul territorio. I contatti indiretti con la Cina, di cui i Giapponesi avevano bisogno, venivano dunque mantenuti attraverso Okinawa, anche se di fatto il benessere economico e l’indipendenza politica dell’isola di Okinawa dipendevano dal Giappone. Siamo nel 1609.

Poi all’inizio nel 1609, l’isola fu conquistata dai signori giapponesi Kagoshila del clan degli Shimazu che dominavano la regione Satsuma situata all’estremo sud del Giappone, che mantennero il divieto delle armi e imposero il rigido regime del feudalesimo. La nobiltà isolana continuò a rimanere segregata nella città di Shuri. I Samurai giapponesi, peraltro, potevano trasportare armi anche ad Okinawa. Tale divieto esteso solo agli abitanti nativi dell’isola restò valido anche durante i periodi successivi della storia del Paese.Napoleone ,infatti , nel 1816 , nell’udire che vi era un piccolo Paese di nome Okinawa dove il popolo girava disarmato esclamò: “Non riesco a capire come possa esistere un popolo disinteressato alla Guerra….”. Oggi, ad Okinawa, i più grandi Maestri di Karate ritengono che il divieto per le armi posto dal loro primo Re fu atto di grande saggezza e non di oppressione.